Alla sua presenza distesi di mia mano una protesta, il cui sunto è il seguente:
Domandava il sollecito disbrigo della causa; confermava il deposto nei miei due interrogatorî; diceva essere innocente; dichiarava però, che ove avessi operato alcunché, non avrei fatto che seguitare i doveri che ha ogni Italiano verso la sua patria; che sapeva assai bene la mia sorte futura; che l'innocenza non trema; che essa spira sul palco della morte colla serenità dei Pagano e dei Cirillo, da ogni stilla di loro sangue migliaia di proseliti rigenerando.
Il comandante sigillò il foglio, e lo spedì al colonnello Freddi, presidente della Commissione.
Qual cosa m'indusse a far ciò? Il disprezzo per coloro che mi tenevano in catene; l'amore della mia patria; la brama di far conoscere ai nostri nemici, che anche al cospetto della morte, che si apprestano a darci, noi ci ridiamo dei loro tormenti. Alcuni dei miei compagni dissero, che io aveva agito follemente: qualche anno dopo n'ebbi invece le congratulazioni da tutti coloro, che la trovarono nel processo.
Come furono passati sei mesi all'incirca, ci venne comunicato che la sentenza sarebbe stata pronunziata dal tribunale della Sacra Consulta in Roma, in seguito alle premure delle rispettive nostre famiglie. Invece del militare fu adunque il civile che ci giudicò, o, per parlare più chiaramente, un consesso di preti, poiché il tribunale eccezionale della Sacra Consulta è composto quasi tutto di monsignori.
Ci fu chiesto se volevamo essere presenti alla discussione della causa: si disse che sì; a due a due venimmo tradotti a Roma.
| |
Italiano Pagano Cirillo Freddi Commissione Sacra Consulta Roma Sacra Consulta Roma
|