Quelli erravano grandemente, perché sotto il dispotismo la legalità è una parola; e questi, non pel principio stabilito dell'azione, ma perché contavano di soverchio sull'efficacia dei mezzi che avevano, e riposavano tranquilli sulla credenza, che pochi uomini gettatisi ai monti valessero a far levare in armi la nazione.
Comunque sia, la necessità di portare un rimedio contro il cieco dispotismo papale persuase gli stessi moderati a tentare un moto di concerto coi repubblicani. La cosa cambiò adunque di aspetto; e per la unione di tutte le volontà e di tutti gli sforzi potevasi sperare un buon risultamento.
I principali fuorusciti delle Romagne avevano preso ricovero nella limitrofa Toscana; tenevano convegni coi capi al confine; s'indettavano intorno ai preparativi e intorno al piano d'insurrezione.
Ne' quali maneggi il dottor Carlo Luigi Farini si distingueva soprammodo per zelo e attività: stendeva anzi un manifesto da pubblicarsi all'atto della rivoluzione, che doveva presentare ai Potentati esteri i bisogni di urgenti riforme negli Stati Romani.
Dopo molto andare e venire di Toscana in Romagna e viceversa, si stabilì di prendere le mosse da Rimini - duce Pietro Renzi. E così fu nel settembre del 1845; gli tennero dietro il conte Beltrami e Pasi, due animosi giovani, nella bassa Romagna, con una mano di patrioti. Ma tutti questi moti finirono tristamente perché isolati, e senza seguito delle popolazioni, che pure avrebbero dovuto levarsi.
Del che varie furono le cagioni, e primissime, l'essersi alla vigilia della progettata insurrezione la maggior parte dei moderati perduti d'animo; l'avere incominciato a spargere sfiducia e sconforto; e da ultimo l'infiammarsi di semi di discordie, messi innanzi con molta arte da Mazzini, per mezzo de' suoi agenti, onde screditare i movimenti, a cui egli non aveva parte diretta.
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