Ma ciò non bastava; ché avevano spie segrete nel loro seno, stimate ed accreditate come persone dabbene dagli stessi capi della Giovine Italia.
Fra queste figuravano come principali(5) il dott. Paolini di Ferrara e Anselmo Carpi di Bologna. Quello poi che le polizie non potevano discuoprire con questi mezzi, l'ottenevano dai consolati, tra i quali si distinguevano Ferrari a Marsiglia, il marchese Romagnoli in Livorno, il conte Marzucco a Oneglia, il cav. Pisoni a Genova, ecc. Prevedendosi nulladimeno dagli uomini di stato, che la profonda agitazione dello Stato Romano avrebbe finito in una esplosione; e temendosi dai principi italiani, che ciò potesse essere cagione di turbamenti generali in Italia, si avvisò di dare una nuova direzione alla pubblica opinione e di volgerla a profitto di qualche governo.
Fu allora che il cav. Massimo d'Azeglio ed altri agenti del governo sardo si diedero a percorrere lo Stato Romano. Tenevano sveglie le menti; convenivano colla parte più colta della società; s'indettavano coi giovani entusiasti; tiravano alle loro speranze l'aristocrazia; promettevano armi, danaro, uffiziali, aiuto dell'esercito, e davano a credere che Carlo Alberto si sarebbe messo alla testa del movimento nazionale. D'Azeglio, oltre di ciò, prese la difesa dei popoli delle Romagne, e scrisse il libretto: Sugli ultimi casi, il quale gli acquistò amore e generale simpatia.
E le mene albertine furono sì astutamente condotte, che l'opinione quasi universale delle classi medie e istrutte pendeva per quel lato.
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