Della seconda maniera poi di procedimento del dispotismo, di quando cioè dà mano al tradimento, gli esempî freschi si hanno appunto nel 1848 e 1849. Che non fecero i nostri principi?
Quando un popolo si leva come un sol uomo a qualche incomportabile atto del dispotismo, segno è che la virtù non è in lui spenta; segno è che quel popolo ha vita e sangue e potenza di volere. Così fu in Milano. Ma dove si leva in entusiasmo per qualche sorriso dell'oppressore, che l'ha calpestato durante secoli di sciagure e d'infamie; dove gli stende la destra e gli offre le persone per combattere sotto di lui nella guerra che questi chiama, ridendo, di redenzione; ove si scuote a un'amnistia, ei dà mostra, non già di virtù e di senno, ma di rilassatezza, di meschinità. A tale popolo la conocchia, anziché la spada, si addice.
I sentimenti che hanno mosso le anime popolari nel primo caso, porteranno a lungo andare il trionfo della causa; laddove, nel secondo, il progresso nazionale sarà fiacco, sonnolento, e si convertirà alla fine in regresso.
Una nazione pesta, tradita, umiliata dai suoi tiranni, stranieri o interni, poco monta, giammai deve deporre l'odio contro di essi: la distruzione o di lei o di loro, ecco quali hanno a essere i termini di conciliazione reciproca. Dove ciò non si faccia, essa cade nel ridicolo, nel dileggio degli uomini forti: le si addice il basto.
L'Italia nel 1848 seguì il primo esempio nel centro soltanto di Lombardia: nel resto, corse bamboleggiando dietro ai principi riformatori.
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