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      Sedeva come centro per dare una direzione segreta agli uomini di azione; influenzare la pubblica opinione; spingere il governo sempre più innanzi; fare che si venisse alla guerra coll'Austria; paralizzare gli sforzi della reazione; distruggerne, se pur fosse stato possibile, ogni elemento.
      La sua missione era nazionale. Mazzini non vi avea che fare, e il suo nome suonava malissimo agli orecchi dei membri stessi, che per lo addietro erano stati in lega con lui. Il Comitato romano comunicava con altri stabiliti al medesimo oggetto nella Toscana e nel reame di Napoli.
      Stava viaggiando in Toscana, quando venne la notizia della rivoluzione di Francia; gli tenne dietro quella di Vienna, e quindi le cinque giornate di Milano.
      Tutta l'Italia in moto: le truppe del re di Napoli, del papa, di Leopoldo II, e di Carlo Alberto si avviavano alla guerra dell'indipendenza italiana. Con qual animo dal lato dei principi si vedrà più sotto. Ma dovendo seguire la verità, è mestieri pur confessare, che la nazione non rispose come doveva all'appello dei Milanesi. Sicilia diede un cinquecento volontari, Toscana un quattromila, lo Stato Romano quattordicimila, Lombardia e Venezia quattordicimila. Questo dal lato dei popoli. Da quello dei governi: un sessantamila Piemontesi, un reggimento napoletano, un tre o quattromila Toscani, da ottomila papali compresi gli Svizzeri.
      Or bene, non è ella una meschinità la cifra risultante da queste frazioni, per una nazione di venticinque milioni, che si muove alla guerra della sua redenzione?


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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