I gesuiti e retrogradi consigliavano invece di non andare alla guerra, perché mentre eglino spargevano il sangue pel Re, i repubblicani avrebbero saccheggiato i palazzi regali, abbruciato gli altari, scannati i loro figli.
Si aggiunga a queste infamie la inettitudine del generale in capo, il niuno accordo dei generali subalterni, i semi di discordia sparsi dagli emissarî austriaci, la poca perizia nelle armi di gran parte dei vecchi contadini, cui si era dato il fucile; e si vedrà che la disfatta di Novara doveva essere una conseguenza necessaria di un tale stato di cose.
All'annunzio della seconda campagna, il governo romano, lasciando le incertezze imperdonabili intorno alla organizzazione delle truppe, decise di voler partecipare alla guerra dell'indipendenza; e il 21 marzo, due giorni prima, cioè, che la battaglia di Novara avesse luogo, prendeva le disposizioni necessarie per la mobilitazione di diecimila uomini, disseminati in tutto lo Stato, che affidava al comando del generale Mezzacapo.
Venezia, dal lato suo, di gran lunga più sobria in proclami, mandava alle spalle del nemico da sedici a diciassettemila soldati perfettamente organizzati.
Toscana perdentesi in ciarle ed in manifesti, che d'altronde possono servire come esempio di eloquenza, non un soldato spediva.
Sicilia aveva di che pensare contro le armi del re di Napoli, e non poteva disporre di un soldato.
Talché se alla prima campagna s'incontrarono sui campi dei corpi di volontarî di tutte parti dell'Italia, nella seconda non fu lo stesso: la nuova guerra venne sostenuta dai Lombardo-Veneti e dai Piemontesi soltanto.
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