Approssimandosi il 1853, Mazzini avvisò di torsi dall'inerzia; credendo che ad un suo cenno l'Italia sarebbe insorta in massa, volle tentare la rivoluzione, che doveva portare la riforma civilizzatrice, unitaria e religiosa a tutta Europa. Più gigantesco progetto di questo non poteva per verità concepirsi!
Nelle discussioni, se pur ve n'ebbero, del Comitato composto di Mazzini, Saffi, Agostini e Montecchi, quest'ultimo si opponeva al tentativo. Ma la sua voce in tutti i casi era zero rimpetto agli altri. Dunque silenzio.
Il movimento doveva incominciare a Milano; e Bologna, Ancona, e le principali città d'Italia avrebbero dovuto seguirlo, alla notizia che fosse riuscito. Quanto alle armi, pugnali e coltelli, poiché era stato quasi impossibile l'introdurre fucili; sen trovava nullameno un piccolo numero unitamente a qualche granata, ma sì meschina la quantità, che non valeva la pena di parlarne. Certo B..., ex-maggiore dei volontari, e F..., ambi non lombardi, ignari delle località, del fare del popolo e senza influenza, furono incaricati dell'esecuzione del progetto in Milano. Il primo, giovane di qualche ingegno militare, di ottima volontà, di moltissimo coraggio. Il secondo, di qualche ardire e nulla più. B[rizi] stette alcuni mesi in Milano, e si associò ad un certo numero di popolani, cui giornalmente faceva correre la paga. Oltre a ciò, col mezzo di un ex-caporale ungarese, manteneva intelligenze con dei sotto-uffiziali, estendendole perfino tra alcuni distinti uffiziali, che per buona sorte non vennero mai scoperti.
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