Ciò non mi accomodando, fuggii di mano ai gendarmi verso le cinque pomeridiane il 23 agosto.
La mattina del 24 Co[nti] fu messo nella diligenza, che conduce a Coira, e scortato da un gendarme; nella stessa vi era Mazzini libero. In una stazione di cambio pei cavalli di posta, Co[nti] se la diede a gambe, prendendo pei monti e pei boschi. Egli da un lato, io da un altro, ci mettemmo in salvo.
Onde eludere i gendarmi e le polizie, che disponevano dei telegrafi, invece di condurmi sulla via Giulia o verso l'interno della Svizzera, presi la direzione di Poschiavo, che mette in Lombardia. In sul cadere del dì pervenni ad un piccolo albergo, che trovasi sui monti della Bernina.
M'avvicinai a quello, e v'entrai con molta cautela; ordinai alcun che da mangiare, e procurai di starmene ivi due o tre ore al riposo, per la ragione che non vi essendo telegrafo, la notizia della mia fuga non poteva essere giunta: d'altronde, è la sola casa di ricovero ai vetturali e passeggieri.
Trascorsi da quindici minuti, comparvero alcuni Svizzeri: erano giovani che s'apprestavano alla caccia dei camosci pel mattino seguente: nel fiore dell'età, belli d'aspetto e robusti della persona. Vedevansi scritte nei loro volti la lietezza dell'animo e le speranze di buona preda. Entrati, posarono sulla tavola, che stava lor dinanzi, le carabine, i corni, le bisacce da caccia, e i cannocchiali che tenevano appesi al collo.
Quindi, colla disinvoltura tutta propria del cacciatore, ordinarono che loro fosse porto alcun che da cena.
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