A togliere però ogni benché minimo sospetto sulla mia presenza in Italia, feci sembiante di essere diretto ad Ancona per imbarcarmi alla volta della guerra d'Oriente.
Quindi me ne partii per Milano. Alla stazione di Mortara, se non erro, incontrai il mio amico marchese Trotti di Como: mi fissò un istante, ma parve non riconoscermi. Allora andai a lui franco, e lo presi per mano. Fece le meraviglie al vedermi, e mi domandò se si era in procinto di tentare alcun'altra impresa. Risposi del no, lo richiesi della sua parola d'onore di non parlare a chicchessia di me, e l'ebbi. Venendo indi sul discorrere delle cose italiane, mi fece intendere, che le speranze di tutta l'emigrazione erano nel Piemonte; che gli alleati, e ciò sapevasi dall'alto, davano promesse d'assistenza, che faceva d'uopo starne quieti, che se Mazzini ne avesse commessa una delle sue solite, si sarebbe tirato il biasimo di tutti i patrioti. Lo ascoltai; pervenuti a Vigevano, ci separammo.
La stessa mattina, che giunsi a Milano, feci le mie indagini; e alla sera parlai con due del Comitato: diedi a voce le istruzioni, le ripetei più volte, e presi informazioni sullo stato degli uomini, ecc. Ci rivedemmo nei giorni successivi, e tornai a spiegare più chiaramente ciò che si avea da fare; chiestomi, a calde e reiterate istanze, che lasciassi le istruzioni per iscritto, dopo qualche esitare mi vi piegai e n'ebbi in ricambio la parola d'onore, che si sarebbero abbruciate, non appena fisse bene nella mente(26). Solenne imprudenza dal lato mio!
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