In tutte queste trattative mi si riconobbe come Tito Celsi, e giammai lasciai sospettare chi mi fossi, o dove abitassi, o con qual nome viaggiassi.
Allo scoraggiamento in cui erano i popolani, pel mal esito del tentativo del 6 di febbraio, e per gl'impiccamenti avvenuti, risposi dando buone strette di mano, facendo loro animo, e dicendo che non sempre egli n'è dato vincere; ma che stavolta avremmo fatto, ne stessero certi. Aggiunsi che partivo per la Polonia per affari di maggior rilievo(27), ma che dovendomi trovare nel dicembre alla esecuzione del fatto, si sarebbe allora saputo il mio nome, e veduto se fossi uomo da fare o no il mio dovere nei combattimenti.
Compiuta la mia missione, stimai di andarmene verso Vienna: in Milano sarebbe stato imprudenza il rimanere; riconosciuto, era per me finita.
Durante il mio soggiorno, non passava dì che non mi recassi agli esercizî in piazza del Castello e fui veramente sorpreso della precisione e celerità insieme nella esecuzione delle manovre: dal 1848 in poi gli Austriaci avevano fatto un cambiamento notabile.
Visitai poscia Verona e Vicenza, andai a rivedere i luoghi, dove nel 48 ci eravamo battuti, e dove perdetti un intimo amico, Liverani, al mio fianco, fuori la porta di Santa Lucia. A Venezia non fummi permesso di visitare Marghera: quei luoghi mi rammentavano i bei giorni di combattimento per la libertà, ed avrei avuto caro di visitarli di nuovo. Infine mi imbarcai per Trieste. Nel viaggio levossi una burrasca furiosissima, e si andò quasi a periglio di calare a fondo.
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