Ma, tornando donde mi partii, non dimenticai già il mio proposito di entrare nell'armata russa; mi recai perciò dal principe Gortschakoff, ambasciatore. Non potendo, il dì che mi presentai, darmi udienza, parlai a lungo col segretario d'ambasciata, il quale, avendogli chiesto se sarei stato accettato al servizio, mi rispose:
Durante la pace, sì; ma in tempo di guerra non si accetta nessuno, nessuno
.
Pensai allora di entrare nell'esercito austriaco e di realizzare così il piano più volte discusso con Mazzini, ed anche con Kossuth, di fare la propaganda nei reggimenti italiani.
Il consiglio non poteva essere migliore, ma presentava pericoli e difficoltà straordinarie. Nulladimeno, convinto di servire la mia patria, mi decisi di tentare il passo. Ne scrissi a Mazzini significandogli il mio divisamento; ed aggiungendo che, ove non potessi realizzarlo, nel dicembre mi sarei condotto in Milano a dar mano alla insurrezione già progettata: ma che, dove fossi invece in servizio, cercherei di fare delle diversioni nei reggimenti italiani.
Questo di me.
Quanto agli affari cospiratori in genere, gli veniva dicendo: badasse bene a quello che stava per fare; che gli Austriaci erano potentemente organizzati; che, senza di un'armata, mi sembrava impossibile disfarli; che la rivoluzione in Italia era ben possibile, ma il dubbio stava, se fossimo poi stati pronti ai sacrifizî necessarî per sostenerla; che l'Austria può col bastone trarre quanti soldati essa vuole dalle sue provincie di razza croata e bulgara, dove sono popoli nello stato quasi di barbarie; che se in un fatto nuovo ei non fosse riuscito, non sarebbesi più voluto il suo nome da chicchessia; che non desse troppo ascolto alle parole dei giovani entusiasti, i quali promettono cento, e dànno uno: che tutto questo gli veniva rappresentato per debito di amicizia e di coscienza.
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