Alli 7 dicembre lasciai Vienna; mi fermai a Arad, fui a vedere la fortezza in cui si appiccarono i patrioti e generali ungaresi. Dimandai di entrarvi; mi venne dinegato.
Nell'Ungheria trovai una regione fertilissima, abitata da bella e robusta gente; essa rammenta con gloria i nomi di Klapka, di Bem, di Kossuth, e arde che il momento sorga, onde prendere di nuovo le armi contro i loro oppressori.
Feci il viaggio in compagnia di un giovane ungarese; il quale nulla sapendo né del nome, né della mia veste politica, mi trattò gentilmente. Ci fermammo qualche dì a Szaszvaros; e contrassi qua e là buone conoscenze. Infine ci avviammo verso Hermanstadt.
PARTE SECONDA
CAPITOLO PRIMO
Battevano le undici antimeridiane del dì di domenica 17 dicembre 1854, quando entrammo in Hermanstadt: lo stato d'assedio aveva cessato da tre o quattro giorni, gl'impiegati civili riprese le loro funzioni, e le soldatesche che l'occupavano erano sulle mosse per recarsi nei Principati Danubiani.
Pranzava in una sala terrena dell'albergo, e me ne stava intertenendo con alcuni uffiziali austriaci, quando alle due circa l'albergatore mi chiamò, dicendo che un signore voleva parlarmi, e che mi aspettava in una camera vicina. Lo seguitai, e mi trovai a fronte di cinque persone a me incognite, tutte vestite alla borghese. Una di esse mi chiese in francese, ov'erano i miei bauli: le indicai la mia stanza, e ci avviammo a quella senza far motto; gli altri s'impadronirono de' miei effetti, mi circondarono, e mi condussero all'ufficio generale di polizia.
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