A tal vista caddero le lagrime alla guardia carceraria che mi aveva tenuto in custodia.
Ne ignoro il nome: toccava i trent'anni, ed aveva militato nei reggimenti rimasti fedeli all'imperatore all'epoca della rivoluzione ungarese.
Strada facendo, dormii talvolta nelle caserme dei gendarmi; ed in tali occasioni me la passava bene; mi si concedeva un letto a' piedi del quale facevano la sentinella due gendarmi armati di tutto punto e con baionetta in canna.
Altre volte invece fui posto nelle carceri comunali insieme ai Polacchi. Qual fosse la sucidaggine di costoro, tralascio di dire, perché muove a schifo. In queste me ne stava per terra incatenato alle gambe, e non poteva dormire per la puzza e gl'insetti che vi erano.
Quanto io soffersi nel viaggio è indescrivibile: a darne un cenno basti sapere che si viaggiava tutto il giorno allo scoperto; i gendarmi indossavano grossi mantelli, e ad ogni stazione di tre in tre ore avevano il cambio, ma per me nulla di tutto ciò; inoltre cattivissime notti e faceva un freddo tale che le acque del Danubio erano gelate.
In alcuni tratti di strada mi giaceva come imbecillito; sapeva, per così dire, appena di esistere, e rispondeva ai gendarmi macchinalmente. In tutta la mia vita mai e poi mai mi era trovato in così fatto stato.
Tra il 16 e il 17 di gennaio giunsi a Vienna stanco e assai male andato della persona. Fui cacciato nella Polizei-Hause.
I gendarmi, dal semplice soldato al caporale, e talvolta sino al sergente, si erano mostri verso di me buoni ed educati.
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