Caduta la rivoluzione italiana, se n'andò in Milano presso il tribunale criminale.
Pei tentativi del 6 febbraio 1853, il feld-marescialio Giulay istituì una commissione mista per giudicarne gli autori.
Scelto Sanchez a giudice processante, adempì a meraviglia il dover suo. Ognuno ben sa che sei o sette furono appiccati, e da cento e più cacciati nelle galere.
Tanta abnegazione e maestria in un tempo del Sanchez meritavano bene un compenso: v'era un nuovo guadagno; lo si chiamò a far parte della Corte Speciale di Giustizia, e gli si affidarono i processi più importanti e più delicati.
Il barone Sanchez è piccolo e goffo di persona anzi che no, biondo di pelo, ha due baffetti corti e puntuti, gli occhi turchinicci e piccoli, il cranio calvo e piuttosto largo, viso corto, lato ai pomelli, e fronte insignificante: d'ordinario porta gli occhiali, ed avrà circa quarantaquattro anni.
Parla l'italiano come un nazionale, ed assai bene il dialetto lombardo; i suoi modi, anziché gentili, sono rozzi e sgarbati: tutto si fa lecito, e mostra molta condiscendenza alle signore, colle quali s'intrattiene assai volentieri, in ispecie se belle. Ha in moglie una signora di Fermo, dalla quale ha parecchi figli; con essi è sempre in rabbia, perché non vogliono sapere di lingua tedesca.
Ha grande astuzia, e conoscimento degli uomini e dei cavilli legali, dei modi d'intimorire gli accusati, di estrarre in qualunque foggia delle rivelazioni. Non si fa scrupolo di nulla, e pone in derisione i prigionieri.
Tale è l'uomo a cui venni affidato.
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