Quantunque piccola, me l'andava di già passeggiando alcun poco, e attendeva con molta ansietà il dì dell'interrogatorio. Venne: Casati, due guardie carcerarie, e due soldati mi accompagnavano; mi girava il capo, e poteva appena reggermi; era assai debole, e la voce mi mancava; tuttavolta potei traversare i lunghi corridoi, che dal castello conducono nella residenza dei giudici. Giuntovi, fui lasciato in una stanza terrena a fronte di quattro persone: le guardie rimasero fuori della porta. Mi sedetti presso una gran tavola; a destra aveva il barone Sanchez, a sinistra i due testimoni, in faccia il barone Corasciuti, facente da segretario.
Quando giunsi regnava silenzio(29); con un cenno della mano fui invitato a sedere; tutti gli occhi erano rivolti su di me con molta attenzione. Sanchez, dopo alcuni istanti, ruppe il silenzio, dicendo con gravità:
Pesano su di lei gravissimi sospetti; io ho le mie convinzioni; trattasi di tutta la sua futura esistenza
.
Mi tacqui.
Descritti, come d'usanza, i miei connotati, venne sull'interrogarmi: egli era composto a serietà. Chiestomi intorno al motivo del mio entrare in Lombardia, diedi le spiegazioni seguendo il sistema adottato presso Alborghetti in Vienna.
Fummi imposto di tacere.
Risponda alle domande che le facciodisse bruscamente il Sanchez; "è il giudice che deve impadronirsi dell'accusato, non questi di quello."
A ciò fui sorpreso: conobbi che non vi era da scherzare; mi conformai per necessità al suo volere. Io rispondeva, ed egli dettava le mie risposte; cosicché queste non ebbero la veste particolare del mio stile, siccome era in Vienna, dove alla fine d'ogni interrogatorio dichiarai di mio pugno di avere dettato ad alta voce, ecc.
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