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      CAPITOLO QUINTO
     
      Fino dal primo giorno ch'io era in Mantova, udii picchiettare alle pareti del numero 2, dalle prigioni attigue. Al muro del numero 4 poggiavano il letto e il mio capo; a quello del 2 rispondevano i piedi.
      L'essere stato prigione più volte m'aveva fatto assai pratico ai segni usati; conobbi adunque che si chiedeva di me. Dapprima diffidai, e feci il sordo; ma il numero 4 si mostrava così costante e impaziente, che ebbi pel meglio di farmi vivo.
      Posto in ascolto, mi chiese:
      Chi sei?
      Giorgio Hernagh
      risposi.
      Donde vieni?
      Dall'Ungheria.
      Coraggio, fratello magiaro.
      E tu chi sei?
      Pozzi.
      Di qual paese?
      Di Milano, arrestato da poco tempo.
      Dopo cessammo: lo lasciai nella credenza che io fossi ungarese, e al mattino e alla sera ci salutavamo.
      Tornato dal primo interrogatorio, bussò di nuovo, e disse:
      Sei stato all'esame?
      Sì.
      Ebbene, come va?
      Male, malissimoripresi io; "tutto è scoperto: m'impiccano."
      Caccia i mali pensieririspose quegli; "coraggio!"
      Se mi conoscessi, sapresti che ne ho da vendere.
      Bravo! bravo!
      replicò egli.
      Indi troncammo per tema di essere scoperti.
      Io mi trovava in uno stato convulsivo tale che toglievami quiete e appetito; quantunque debole me la passeggiai tuttodì. Pensava agli interrogatorî avvenire, a quello che mi accadeva, e sembravami un sogno. Mille pensieri s'incalzavano con furia nella mia mente. Volli leggere un libro e non fui capace di scorrerne quattro linee. "Tutto scoperto!" diceva; "ma come? chi si è fatto delatore?" Avrei dato della testa nel muro.
      Morirò... stavolta la non si fugge.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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