riprese Sanchez; "vede bene che noi non la forziamo a dire una cosa per un'altra."
Mi lasci dunque quietosoggiunsi.
Sanchez fece osservare che le mie affermazioni non meritavano fede alcuna; che si conoscevano appieno i miei interrogatorî avuti nel 1844 nello Stato Romano, ecc.; che io mentiva.
Terminato l'esame, e riconsegnato ai secondini, egli disse:
Non ci vedremo più per lungo tempo, signor Orsini; la farò chiamare soltanto per le contestazioni; intanto si faccia coraggio
.
Risposi con un sorriso convulsivo e amaro, che non potei rattenere.
Sulla mia sorte non v'era dubbio alcuno; bisognava dunque rassegnarsi e dire: "È venuta la mia volta".
Ma come passare il tempo, che suol farsi così lungo nelle miserie di una segreta? Chiesi altri libri a Casati e me ne diede: ebbi pure un Shakespeare, e mi ricreò molto. Leggevo tutto dì: le ore volavano; alla sera, stanco e debole, m'era facile di prendere sonno; il mattino balzava in piedi per tempissimo. Le febbri mantovane mi travagliavano di quando in quando; e non potendo leggere, venivo preso da forti accessi di malinconia.
Non passava poi dì che il mio amico del numero 4 non si facesse udire; lo amavo già come un fratello; quell'essere poi solo al pari di me mi destava un interesse maggiore.
Al picchiettare del numero 2 non avevo mai risposto; tanto che i prigionieri non bussavano più e mi avevano forse per un prigioniero rozzo e scortese.
Senza sapere a me stesso spiegare la ritrosia a intrattenermi con loro, ch'io d'altronde non conosceva, un dì tra gli altri volli tentar di battere.
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