Questi e molti altri pensieri ingombravano a folla il mio intelletto. Tratto tratto me la passeggiava; ora mi gettava sul letto, e talvolta davo in accessi di furia, vedendomi nella impotenza di salvarci entrambi.
Una sera, verso le otto, standomi in letto, udii al numero 2 un picchiar sordo e prolungato; balzai a terra, e tesi l'orecchio al muro. "Dimani parte mia madre" disse Calvi; poi nulla più. Queste parole m'immersero in una agitazione terribile; credetti che all'indomani ei dovesse andare alla morte; e avvisando ch'egli fosse mantovano: "Sua madre" dissi meco stesso "partirà di città durante la uccisione del figlio".
Per tutta la notte non chiusi occhio: più volte scesi a terra e andai alla parete del numero 2, ma non mi venne fatto di udire il più piccolo rumore. Silenzio profondo, e solo interrotto dai lenti passi della sentinella, che vegliava alle nostre porte. Pur tuttavia la immaginazione mi si scaldava talmente, che parevami di udire dei lamenti, delle esclamazioni, la voce stessa del Calvi. Oh! quai tristi momenti non sono mai quelli del prigioniero, che pensa all'amico trascinato al patibolo!
Alla fine fecesi giorno; picchiai risolutamente al numero 2, e incominciai così:
Che intendesti dire iersera? sei tu di Mantova?
Dopo qualche secondo fummi risposto:
Stamane mia madre viene a vedermi; poi riparte subito: quando parlo con essa, lo faccio alla presenza o del giudice o di Casati: voglio tentare di tutto per farle conoscere che tu sei arrestato e che scriva ai tuoi parenti, acciocché ti mandino del danaro per vivere un po' meglio.
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Calvi Calvi Mantova Casati
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