Nel mattino seppi dai secondini, che si era accompagnato alla cattedrale un ricco banchiere di Mantova, morto il giorno innanzi: questa idea di banchiere offuscò tutto il bello e commovente, che aveva mosso la immaginativa la sera antecedente.
In quel giorno tentai di passeggiare, mi si destò un poco di convulsione: chiesi dei caffè, ne presi due; ciò m'irritò di più, ma tolsemi dalla ipocondria. Per un giorno o due le morali sofferenze fecero qualche sosta, ma poi tornarono da capo, malinconia mista ad accessi di rabbia e di impazienza. Volgeva l'animo agli amici, e diceva: "Penseranno eglino a me? Sì, di certo qualcuno; gran numero, no: e qual diritto ho io mai alla loro rimembranza? chi sono io? E poi, tra quelli, che chiamansi amici, quanti mai non ve ne sono de' falsi, bugiardi e vigliacchi? Quanti mai, che un dì strisciavansi dinanzi a me, gioiranno forse adesso nel sapermi vicino a morire, in fondo di una segreta o sul patibolo? ma ne ho alcuni tuttavia, pochi giovani, che me l'hanno provato: questi mi compensano dell'immensa turba de' tristi. E i miei parenti? verseranno eglino una lagrima all'annunzio della mia morte?... Forse sì, forse no...; al mio vecchio zio però debbo tutto: educazione... onestà... non mollezza...; ma durante le mie prigionie mi dimenticò alcun poco... perdono... io gli perdono: egli mi tenne luogo di padre; gliene feci troppe, non mi stetti mai quieto. Povero vecchio settuagenario! se lo potessi baciare!... egli piangerà di certo... mio fratello anche.
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Mantova
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