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Tra questi pensamenti volavo colla immaginativa al modo di eseguire una evasione: in quel momento tutto mi pareva facile, la mia mente si esaltava ognora più: in un attimo mi arrampicai sino alla vetta delle sbarre della finestra, misurai il taglio che avrei dovuto fare, la distanza dall'una inferriata all'altra, e discendendo a terra, mi strofinava le mani, e credeva già la mia evasione come un fatto compiuto. Volli misurare l'altezza della finestra dal piano della fossa, giacché mi si diceva esserne ricinto il castello: ma come fare? Corsi al letto, sfilai le lenzuola dall'un dei lati, ed ebbi in un attimo rannodato un filo lungo a mio piacimento: ruppi il vaso con cui bevea, ed appiccatone un pezzetto all'estremo del filo, lo spinsi fuori della finestra. Ad un tratto non scorse più il filo, né sentii il peso. "È al fondo" dissi meco stesso. Indi, trattolo su di nuovo, lo rinvenni bagnato. "Vi è acqua, e molta" ripresi; "le difficoltà si accrescono."
La mente cominciava a deporre il primo bollore; pensai ai ferri. Come tagliarli? La sfiducia succedette in un attimo alla speranza, che mi era balenata innanzi. Stetti pensoso per alcuni minuti; poi ripresi esclamando:
E via! quando l'uomo vuole, riesce a tutto
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Da quell'istante fermai meco stesso di assumere il contegno più dolce e mansueto che per me si fosse potuto, in faccia ai secondini, al custode e ai giudici; pensai di spiare ogni località, quando mi si conduceva agli esami, d'incominciare per tempo a fare domande per ottenere informazioni necessarie, ma disparate, e tali che non inducessero sospetto alcuno di quanto stava meditando; assunsi le sembianze del coniglio, dell'essere più innocuo e timido; scriveva sempre per la composizione di un'opera storica, e mi mostrava di un carattere dolce e lieto.
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