Caduta questa, si recò in Piemonte, dove si mostrò sempre pronto a prendere le armi per la indipendenza e libertà italiana.
Nel settembre del 1853 ei doveva promuovere l'insurrezione nelle montagne del Cadore. Insinuatosi in queste con quattro de' suoi compagni, fu tradito da una guida. Alcuni gendarmi sorpresero di notte tempo, e mentre dormivano, i cinque giovani: arrestati, li tradussero a Insbruk, donde Calvi venne tradotto a Verona. Portato a Mantova, e messo al numero 2, stette lungo tempo solo: indi gli si diedero due compagni. Tratto tratto vedeva i suoi di casa, dai quali aveva di che vivere. Casati se gli era affezionato, davagli libri, e gli permetteva il sigaro. Ei non ebbe mai bastonate, bensì la catena durante il tempo che stette sotto la giurisdizione militare. Fu sempre dolcissimo, dignitoso, e pieno di coraggio; dinanzi ai giudici mostrò fierezza, nobiltà d'animo.
Quindici giorni prima di andare alla morte, gli accadde un fatto strano. Ei dormiva; ma il suo sonno era agitato, inquieto: tratto tratto dava in forti smanie, si contorceva nel letto, e faceva lamenti; i suoi compagni lo destarono dicendo:
Calvi... Calvi...: hai male?
Si destò dicendo che nulla aveva.
Al mattino era triste. Stette così per due o tre giorni; infine aprì l'animo ai compagni, e disse:
Sognavo che il carnefice mi metteva il capestro al collo, e, a dire il vero, la morte mi faceva paura
.
Gli amici lo persuasero a cacciare tali pensieri, e lo tennero allegro più che poterono.
Per quanto coraggio si abbia, la morte impone sempre: e chi dice di non temerla, o è pazzo, o è ciarlatano!
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