Gli venne concesso: cavarono a sorte, e toccò ai secondini Sartori e Bettini.
La notte che precedette l'esecuzione, per cinque ore di seguito dormì tranquillamente. Finite le quarantott'ore d'agonia, vestito di nero e con guanti di color simile, uscì di segreta: Casati, invece delle manette, cosa troppo umiliante, gli fece mettere la catena militare fermata alla mano destra e alla gamba sinistra. Indi Calvi baciò la moglie di Casati e la madre di essa. Tutti piangevano: egli solo rimanevasi sereno.
Lasciato il castello, salì in una carrozza che lo aspettava: eravi alla sua sinistra monsignor Martini, e in faccia il barone Corasciuti, coi due secondini; molta folla di gente ingombrava il piazzale cupa e mesta; buon numero di gendarmi e di guardie di polizia facevano largo; lo seguitava una compagnia di soldati. Uscita la carrozza di porta San Giorgio, nessun cittadino gli tenne dietro. Giunta a metà del ponte San Giorgio, Calvi si tolse il sigaro di bocca, e messo il capo fuori dello sportello, volle vedere Mantova, poi rientrò; alla fine del ponte, e precisamente a sinistra, la carrozza voltò, e giunse ove era l'apparato funebre. Si vedeva un battaglione di soldati schierati, molti gendarmi e guardie di polizia, qualcuno della più infima gentaglia, una colonna di legno a cui doveva essere appeso il paziente, e una tavola a quella appoggiata. Toltegli le catene, il carnefice invitò Calvi a montare sulla tavola: egli salì francamente, ringraziando in modo assai brusco il barone Corasciuti, che gli offrì il braccio; indi si tolse il sigaro, dandolo al secondino Bettini, che se lo mise in bocca.
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