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      Comunque sia, Tirelli era uno dei migliori.
      Verso le cinque pomeridiane di un giorno, io me la passeggiava su e giù per la segreta, in maniche di camicia. Si apre all'improvviso la porta, e vedo entrare un sacerdote col cappello in mano; lo accompagnava il custode Tirelli. Rimasi fermo di botto a tal vista: quella nera comparsa non mi piaceva.
      Dopo un breve istante, chiesi con chi aveva l'onore di parlare. Il sacerdote rispose: "Don Martini". "Male" dissi entro di me: sapeva dalle guardie ch'era quegli che assisteva gl'impiccandi.
      Egli, forse buon conoscitore di uomini, si avvide di ciò, e soggiunse subito:
      «Non pensi mica male; sono solito ad ogni mese di recarmi presso i detenuti, col permesso del signor presidente, a vedere se hanno d'uopo dei conforti di religione; e talvolta si soccorre anche di qualche libro da leggere; mi meraviglio, poi, come da circa sette mesi ch'ella è qui mi sia stato sempre taciuto il suo arresto, mentre, a dire il vero, è tale la confidenza, che si ha in me, che soglio andare dai più aggravati".
      Io lo ascoltava senza parlare; stavamo tutti e tre ritti in piedi. Don Martini, trattasi di tasca una scatola, mi offrì del tabacco, ch'io ricusai; e all'avvicinarmi la mano, mi avvidi dall'anello essere lui un monsignore.
      Intanto egli proseguiva così:
      Si figuri, che quasi ogni quindici giorni io andava dal Calvi; che bella testa ch'egli era mai! che ingegno!
      E in dir ciò levava gli occhi e il capo in alto, si soffiava il naso, e prendeva tabacco.
      Poscia ripigliava:


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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