Un dì volli tentare, ridendo, di corromperne uno: egli era solo; così gli dissi:
Perché non andiamo via insieme?
Divenne pallido e bianco come una pezza lavata di fresco, guardò all'intorno, e con occhi spalancati e colle labbra tremanti rispose:
Impossibile
.
Che impossibile?
diss'io; "quando andiamo agli esami e siamo fuori del Castello, e tocca a voi, vi mettete un altro vestito... e via... ed io vi faccio tenere dodicimila franchi."
A questo, e sempre cogli occhi spaventati, egli rispose:
Sior Orsini, c'impiccano tutti e due
.
Quindi se ne fuggì via.
Perché ei non mi compromettesse, feci le stesse proposizioni a tutti gli altri, e perfino al custode; e dissi, di voler fare altrettanto coi giudici. Il tutto finiva in risate, e in bicchierini di acquavite.
Con questo mio fare giunsi a tanto, che nei rapporti che si davano giornalmente al presidente, si diceva: "Il signore del numero 3 è tanto buono, che se gli si apre la porta, egli non fugge: dice che è rassegnatissimo, e che non ha mai trovato gente buona come noi, e i signori giudici".
Una volta tentai un secondino, perché m'impostasse una lettera: lo dissi scherzando, ed affermando di voler far venire molto danaro per comperare buoni polli e buon vino: fu impossibile.
Conducendomi costantemente di questa maniera, giunsi, in quattro mesi di perseveranza, a sapere tutto ciò, che mi era necessario, dell'interna ed esterna disposizione di Mantova, in caso ch'io avessi potuto riuscire ad evadere: e ciò mi fu bastevole. Verso la fine di settembre, cioè nel giorno 26, il custode Tirelli si recò da me, e disse:
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Castello Orsini Mantova Tirelli
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