Ad ogni momento poi facevo sosta, o per origliare, o per riposarmi, giacché e mani e piedi mi formicolavano oltre ogni credere, e il gomito sinistro scorticato mi addolorava profondamente.
Talvolta non ne potevo più: mi toglievo dal lavoro, affranto dalla fatica, tutto sudore, indebolito e sfiduciato.
Mi gettavo sul letto: trascorsi alcuni minuti, ripigliavo forza, e gridavo:
No, non m'impiccheranno
.
E volavo al lavoro, e non sentivo, per così dire, il dolore del gomito e della vita.
Avanti, avantidiceva; "ogni cosa ha il suo termine: il ferro non è legno; pazienza e costanza fanno tutto."
Dava in qualche esclamazione di rabbia; vedevo i giudici nella loro residenza posta rimpetto alla mia finestra, e meco stesso profferivo queste parole:
Me ne andrò, signori: siatene certi
.
Procedevo così lavorando, quando all'improvviso i forti rintocchi delle campane della cattedrale m'interrompevano. Mandava allora qualche imprecazione: e scendeva di botto; perché quel rumore mi toglieva di poter udire l'avvicinamento dei secondini: se mi lasciavo sorprendere, tutto era finito.
Le campane di Mantova suonano quasi ad ogni mezz'ora, e giammai ho trovato altra città, in cui suonino tanto.
Sul finire di febbraio il presidente si recò alla visita mensile: io sedevo calmo al tavolino, tutto all'intorno stavano bene assettati i miei libri, aveva pronti da venti quaderni del mio manoscritto, e leggevo un'opera di Arago. Alla vista di lui m'alzai in piedi, e mi tolsi di capo il berretto.
Come sta, signor Orsini?
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Mantova Arago Orsini
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