Altre volte mi convenne uscire, ma quel caso non più rinnovossi.
CAPITOLO DECIMO
Essendo assai malagevole di segare di giorno il ferro della seconda ferriata, avvisai di attendere una notte di vento: l'occasione non tardò, piovve dirottamente. Dopo la visita delle nove e mezzo uscii, e men stava tranquillamente lavorando, quando improvvisamente vidi una lanterna nella piazzetta delle Gallette, sentii i secondini in moto avvicinantisi alla mia segreta. Mi credetti scoperto: non fiatai, e men rimasi rannicchiato tra le due ferriate.
Fu aperta la segreta del numero 3, e mi vennero uditi dei cambiamenti di prigionieri. Profittando di tale circostanza tornai dentro, chiusi le imposte della finestra, e mi coricai tenendo i ferri della sbarra sotto. Dopo una mezz'ora udii nuovo rumore al numero 3, conobbi la voce di un prigioniero, che vi si metteva, sentii il trasporto del letto, e poi non altro. Io non riposai mai: alla visita fingeva di dormire. Quando i secondini furono al numero 3, percossero i mattoni coi tacchi, e batterono i ferri: vi si trattennero più di un quarto. Senza potermi spiegare un tal fatto, rimasi per quella notte nella massima agitazione; non vedeva l'istante che sorgesse il mattino, e all'alba riacconciai i ferri colla massima accuratezza.
I secondini vennero il mattino alle solite loro visite, ma nulla lasciarono subodorare dei cambiamenti sopravvenuti. Quanto a me, lasciai scorrere le ore mattinali senza far motto: ma alle due pomeridiane, in cui e' solevano bene spesso perdersi un quarticello d'ora a bere un sorso di vino coi prigionieri, ordinai due bottiglie, e incominciai con uno di loro la seguente conversazione:
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Gallette
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