Indi riacconciai alla meglio i ferri, ma la grata era rotta, e per quanto fosse sottile, si poteva discernere. Decisi di starmene in letto e di fingermi malato, onde i secondini nell'entrare che facevano, anziché avere occasione di fermarsi rimpetto alla finestra, fossero venuti difilato al mio letto.
Nel paglione avevo i mattoni e tutta la corda, i cui nodi sentivo assai bene nella vita.
Per buona sorte due lenzuoli mi erano rimasti intatti, e i secondini non ebbero occasione di capire alcun che. Il mio letto era in apparenza come negli altri giorni.
Il 28 non presi cibo di sorta, e mi sentivo debolissimo: non dormii niente, era la quarta notte che passavo così. Pensai molto al pericolo di cadere, e di rompermi il collo; stava in dubbio di tentare, e diceva:
Dunque morirò impiccato? o se avrò una grazia, trascinerò i miei giorni nell'abbrutimento, con una catena tra i piedi, e senza un libro? Dunque me la passerò di mezzo ai galeotti, sottomesso al potere austriaco? No; è meglio la morte; se mi uccido, non sarà il carnefice di Sua Maestà, che mi metta il capestro; d'altronde, io non ho la pazienza e la rassegnazione di Silvio Pellico, da contentarmi di ammaestrare un ragno od una mosca: maledizione all'Austria! Voglio uscire, e farle pagare centuplicatamente i patimenti fisici e morali, a cui essa mi ha assoggettato: se posso salvarmi, le farò il maggior danno che mi fia possibile; i colpi che le porterò saranno mortali
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Indi mi mordeva le dita, e mi asciugava un sudor freddo, che mi usciva dalla fronte.
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Sua Maestà Silvio Pellico Austria
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