Maravigliai io stesso a quella freddezza, ma mi diede a bene sperare. Proposi di serbarla sino alla fine del mio tentativo, e così feci.
All'una e mezzo, ecco la visita: tutto come all'ordinario: un mio sacco, ove teneva il vestiario, stava sotto il letto come si vedeva già da due mesi; ma stavolta era vuoto del tutto.
Fingevo dormire: terminata la visita, scesi, lasciando sul letto il mantello solito e il berretto.
Perché i lenzuoli trovassero maggior attrito nello scorrere, e quindi maggiore resistenza, mi posi i calzoni grossi, che portava giornalmente. Passata con un po' di fatica la prima sbarra, a motivo dei pantaloni, che m'ingrossavano i fianchi, mi rivolsi colle gambe verso la seconda sbarra, le cacciai fuora, e passai il braccio destro e il capo, mentre tenevo colla sinistra la corda: colla punta dei piedi feci forza contro il muro, e trovai una specie di muricciuolo dove poggiarmi.
Adattatami con qualche fatica la corda tra le gambe, incominciai lentissimamente a discendere, tenendo la spalla destra contro il muro. La notte era oscurissima, ed ogni cinque minuti il telegrafo militare(34), che corrisponde con Verona, mandava raggi di luce intorno a sé, e temevo di essere scoperto.
Infine, giunto quasi alla fine, e non più potendo reggermi, volli riposarmi per un istante; poggiai il piede destro contro il muro, e mi fuggì subito la corda dalle gambe; diedi un'occhiata al basso, e riscaldato d'immaginativa giudicai di essere presso che a terra: allora mi lasciai andare, e caddi da un'altezza quasi di sei metri.
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Verona
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