I giovani lombardi, il cui nome porto scolpito nel cuore, nel lasciarmi dissero che quanto avevano fatto era per l'Italia, a cui sentivano che sarei stato utile ancora.
Io accolsi le loro parole: se dicevano vero o no, sel vedranno.
Sì, io non mi quieterò mai fino a che l'Italia non sia libera; ma quando dico di ciò fare, non intendo, e lo dichiaro altamente, di essere il cieco strumento o di un partito o di un individuo: l'Italia, la sua indipendenza, la sua libertà: ecco gli oggetti per cui darò il mio sangue.
Le persone, che fecero tutto per la mia evasione durante i preparativi, e mostrarono un'amicizia e costanza senza pari, furono la signora Emma Siegzmond in Herwegh, di Berlino, e Pietro Cironi, di Prato. Dopo salvatomi dal castello di San Giorgio, due poveri Mantovani; e quindi alcuni giovani lombardi, che esposero per me sostanze e sicurezza personale; e un mio amico, che durante la prigionia mi spedì il danaro per vivere.
So quali allegrie fecero i Mantovani al sapermi salvo: io li ringrazio di cuore. Ad alcuni loro cittadini debbo la vita; mi raccolsero impotente, e presto a ricadere nelle mani dei nostri carnefici; e ricordo Mantova come se fosse la stessa città che mi diè nascimento.
A tutti quelli poi, che direttamente mi soccorsero prima e dopo, non offro che gli accenti della gratitudine e del buon volere. Se verrà un dì, in cui sia mestieri della mia vita a salvamento loro, non mi terrò addietro: non altro mi concesse la Provvidenza.
Posto piede in Genova, vi stetti da quindici giorni, ed ebbi ricovero da alcuni ottimi e generosi Lombardi, i quali mi furono larghi di ospitalità, e di tutte le sollecitudini possibili.
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