Or bene, che avveniva in quell'epoca? Vedevi disuguaglianza dovunque: atti dispotici dal lato del popolo e dei nobili; democrazia in Toscana, oligarchia a Venezia, teocrazia a Roma, monarchia feudale a Torino, ecc.
La libertà vera mancava; e la sicurezza individuale, uno dei primi elementi di essa, era un sogno. Da ciò lotte, uccisioni, guerre civili e tumulti; cose tutte che perpetuarono le divisioni, indebolirono le repubbliche e fecero strada agli stranieri, che d'ogni dove allagarono le nostre contrade.
Alla perdita dell'indipendenza tenne dietro un nuovo e ben funesto fatto; quello cioè dell'imbastardimento dell'indole e del carattere distintivo della nazione. Se al venire dei barbari del settentrione la nostra natura venne rattemprata, allo stabilimento degli stranieri nel 1500 essa cadde nello snervamento. Di attivi divenimmo indolenti; di modesti, fastosi; di ricchi, poveri. Il commercio e l'industria se ne andarono nelle regioni straniere.
L'influenza spagnuola spense ogni germe di virtù, ogni lume di civile sapienza e moderanza. La boria e la inerzia presero radice, e gli animi s'infiacchirono atteggiandosi a quel dolce far niente, che ancora oggi serve, a nostra vergogna, per indicare gl'Italiani.
Ed ora, mentre sto scrivendo, siamo noi sgombri di questi vizî ereditati dallo straniero? Ci possiamo noi chiamare davvero Italiani? Quali tratti abbiamo noi che ci dicano discendenti di coloro, che a Pontida dimenticavano le reciproche offese, e tutti concordi volavano alla guerra contro lo straniero?
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