Il marchese Pareto, con un bel discorso, confidando nella bontà di cuore, mente illuminata, e promessa protezione alle scienze di Sua Santità, non teneva calcolo delle parole del presidente, e proponeva Roma; la proposizione fu ricevuta con tali vivi e prolungati applausi, che se non si fossero opposti i regolamenti, Roma sarebbe stata proclamata per acclamazione.
Se non che, alzatosi il principe di Canino, faceva vedere l'inconvenienza di violentare la mente di Sua Santità per non voler prolungare di un anno questa elezione; faceva conoscere, che Roma ora non ha che un corpo municipale che ci riceva, e che il Senatore è contrario ad ogni buon ordinamento scientifico, e ne dava la prova coll'aver egli scacciato dal Campidoglio l'Accademia dei Lincei, e che Bologna non era città da scegliersi, perché ancora guernita di baionette straniere. Terminava coll'invitare ad aspettare un anno ancora, finché fossero ben ordinate le riforme, che si aspettavano, e che allora saremmo stati ricevuti come in trionfo. Il suo discorso fu ricevuto con segni manifesti di disapprovazione. Al principe successero altri insistenti su Roma e Bologna. Il principe infine, vedendo che si stava per votare per una di queste due città, manifestava avere in petto un mandato di Sua Santità, col quale era autorizzato a dichiarare che Sua Santità non ci avrebbe ricevuto nel suo Stato prima del 1849. Questo discorso produsse vive, ma diverse sensazioni. Molti vi credettero, e non solo si astennero dal votare, ma sortirono in più di 400 dalla sala, e da circa 970, che erano al momento della iscrizione, furono soli 538 quelli che rimasero per la votazione.
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