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      Il mio processo s'imbroglia sempre più. Il 20 del p. s. ebbi un interrogatorio; pervengono rapporti da Modena, che dicono avermi i gendarmi arrestato, ed io essere fuggito: - risposi, che non so niente. L'Ungarese di Ginevra ha cantato; ha dato tutti i particolari della presentazione di Tito Celsi fatta da Quadrio: ho risposto ch'io era in Inghilterra, e che non poteva essere in due luoghi contemporaneamente; allora dopo cinque o sei giorni vi è stato il riconoscimento personale - io fra altri due detenuti, egli a guardarmi dal buco di una porta; non ne conosco l'esito. Se ha dato questi particolari, avrà dato anche altri del febbraio 53 - e l'ho potuto arguire, essendomi stato chiesto da prima se conoscevo un Fissendi (nome falso), che era stato a Milano, ecc.; dissi di no. - La cosa va in lungo assai: - ne chiesi al giudice; - mi disse: per carità non parliamo di tempo. Quanto all'affare dell'Ungarese, avrei potuto dire di sì, perché più compromesso di quello che sono nol posso essere, ma avrei dovuto venire a spiegazioni; cosa che volli evitare. N.N. non ha parlato: e sta saldo. - Ora mi si usano dei riguardi; agli esami mi si tratta già, non come un accusato che si schernisce, ma bensì come un nemico conosciuto e provato. Dico francamente che conosco la mia sorte, che vi era pronto; e che dei cospiratori avviene come dei soldati, che vanno alla guerra, i quali si renderebbero ridicoli se pretendessero non essere feriti. Del resto, avendo io dichiarato di non volere compromettere nessuno, di non essere un denunziatore, di aver sempre amata la libertà del mio paese, essi sanno a che tenersi - ed io mi considero come un malato di etisia, che ha da vivere ancora un anno o due; quando sarà per essere pronunziata la sentenza, ne sarò avvisato tre giorni prima; allora esporrò con maggior lealtà i miei principî favorevoli al mio paese, domandando, senza rendermi umile, di essere fucilato, perché non vorrei sulle mie spalle le gambe del carnefice; in questo secondo caso, per precauzione scriverò nella prossima lettera come si potrebbe farmi avere con sicurezza dell'oppio; affinché trovino me e gli altri, che avranno la mia sorte, morti, invece di poterli tradurre alla forca.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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