Noi abbiamo una falsa delicatezza, un galateo villano, una decenza indecente. Parlando di marcia, di piaghe, di pidocchi, soggiungiamo: Con riverenza parlando, mentre la signorina si accosta al naso la boccetta con acqua di Colonia, e, cacciando piú grossa boccata, l'aristocratico si nasconde il viso nel fumo del suo sigaro. E parole indecenti son pure prigione e prigioniero. Esse sono la marcia che cola, la piaga che puzza, i pidocchi che camminano sul corpo sociale. Chi avrebbe la virtú di parlarne? Non ne parlano coloro che gli arrestano, non i giudici che li condannano, non tutti noi che vedendo tre tombe scoperchiate in mezzo ai nostri edifici non domandiamo mai: chi vi entra, e chi n'esce? Modo efficace di far tacere una conversazione è di profferire le parole carcere e carcerato.
Ne parli dunque il giornale. È una marcia, ma marcia battezzata; è una piaga, ma piaga pensante; son pidocchi, ma pidocchi che ragionano.
Le prigioni di Cosenza bastano appena a 500 prigionieri e nondimeno al momento ne contengono 897. Manca a quegl'infelici l'aria da respirare, il luogo da muoversi, sono legati a mazzi, come i dannati dell'inferno, gli uni agli altri sovrimposti come fasci di fieno. La facilità, onde si procede agli arresti, i papaveri che nascono sugli umidi e polverosi processi fa che il numero dei prigionieri invece di scemare monti ogni giorno. È un male che non si deplora nella sola Cosenza, ma in tutte le provincie. Salerno grida, Foggia ha cessato di gridare. Il tifo carcerario ha colpito spaventevolmente questa città; e il tifo scapperà pure dalle nostre prigioni, e coprirà con le sue papule tutta Cosenza.
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