In questi mesi Cosenza è una cloaca aperta; il possesso d'un buon naso diventa una sventura; l'acido carbonico, che si eleva poco, offende meno gli alti, e piú gli uomini di bassa statura: a medicare tale pestilenza si grida contro i porci, si perseguitano i cani, si chiama l'opra degli spazzini, e non si vuol capire ancora che quel puzzo scappa dalle sepolture, che i morti uccidono i vivi, e che sarebbe miglior senno agli spazzini sostituire i beccamorti.
Finché Cosenza non avrà un Camposanto, ogni compenso per migliorarne l'aria torna inutile. Le Chiese dove si sotterrano i 1168 cadaveri in dieci mesi sono nel centro della città, ed a breve distanza tra loro, ed in alcune, come in quella di S. Caterina, i morti non che sotterrarsi sotto un buon cofano di calce, si lasciano disseccare col metodo adoperato pel baccalà, e vedere quegli scheletri ritti e coverti tuttavia di pelle e di muscoli forma in ogni novembre uno strano divertimento pei Cosentini. Tra quegli scheletri ve ne ha uno con la bandiera in mano, che il volgo chiama il Re Marco e che forse appartiene alla dinastia borbonica: or finché Re Marco sta in mezzo a noi è impossibile che l'aria di Cosenza si migliori. Ad osteggiare il pensiero di formare un Camposanto decente, o di usare quello che abbiamo presso la Riforma, si armò sempre la nobiltà e la plebe, l'uno che non vuol rinunciare alle sepolture delle sue Cappelle gentilizie, e l'altra che crede di non potere andare in cielo se non si riempie di vermi sotto gli occhi del Padre Eterno, e non riposa in terreno benedetto.
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