In tutta la Calabria il fico, la vite, l'olivo, il castagno son coltivati ad un trar di pietra dal paese; e ciò dimostra che gli avi nostri vissero, al par di noi, in mezzo a ladri ed a briganti, e vollero avere sott'occhio quei frutti che facilmente e subito poteano essere involati, e quelle colture che richiedevano almeno una visita al giorno. Discorremmo altrove dell'inerzia dei nostri proprietarii in opera di agricoltura, e ne indicammo le radicali cagioni; ma quella sparirebbe in parte tosto che il giro in contado si rendesse sicuro. Come volete che i proprietarii piglino amore ai campi, se per andarvi debbono spendere in armigeri e guardiani quanto pagherebbero per condursi in Napoli? Noi ne sappiamo molti che non conoscono neppure di veduta le loro terre: le lasciano in piena balía dei coloni, i quali facendo profitto della loro paura mettono in giro le piú strane novelle di briganti nel tempo appunto del ricolto; e quei briganti talora non esistono, ed eglino a nome loro chiedono denaro od altro al padrone, e talora esistono, e se il padrone va al podere, il colono non aborre dall'essere manutengolo di quelli. E questa maledetta condizione di cose, non di oggi, ma di ieri, ma che dura da secoli rende giusti i lamenti dei nostri proprietarii che dicono al governo: "Tu mi aggravi di continui balzelli; ma rendimi almeno sicura la proprietà: tu mi spremi in un torchio, il brigante in un altro; che partito ho da prendere?". E noi rispondiamo loro: "Pazienza! Il denaro vostro è dal governo impiegato appunto a distruggere il brigantaggio, e a darvi le strade che vi mancano, e gli esempii vi stanno sott'occhio: diamo tempo al governo, e non siamo cosí ingiusti da addebitare a lui uno stato di cose creato dalla signoría borbonica, che la signoría borbonica non poté o non volle distruggere, ch'era piú terribile stando quella sul trono, e del quale neppure avevamo la soddisfazione di far libero lamento".
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Calabria Napoli
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