Fa mille disegni, ma un soffio di vento glieli disperde, e l'avvenire resta chiuso per lui! Nel cammino della vita chi lo precede e chi lo segue smuovono le pietre, e queste rotolando non feriscono altro che i piedi suoi! La società con tutte le classi piú elevate gravita su di lui, ed egli bue, egli fratello del bue, condannato a continuo lavoro, non può neppure lagnarsene, ma deve come il bue (vo') morire per ingrossamento di lingua! Non è trista siffatta condizione? Eppure il detto è poco. Il nostro bracciante è rimasto senza terreni comunali; che ha da fare per vivere? Locare le sue braccia: e noi, che amammo sempre la conversazione del povero e dell'infelice, restammo commossi tutte le volte che stendendole e facendo spallucce ci disse, (come è solito di dire) "Non abbiamo che queste!" Bastassero almeno a farlo vivere! Ma ciò è impossibile. Il suo salario, il dicemmo, è una miseria, ed il lavoro campestre non e continuo tra noi, ma periodico e due volte all'anno. Stante i meschini termini in che si trova l'agricoltura, si sconosce il seminatore, lo scotennatoio, la marra, ed il bidente. S'ignora il mazzuolo per schiacciare le zolle, il cilindro per comprimere le sementi, l'erpice per appianare i solchi, ed i varii istromenti, per innestare ad occhio, a scudo, a scappo. Uniche armi sue sono il digitale, la falce e la forca quando miete, la zappa, la vanga e la scure quando semina. La zappa a piccone (pínnolo), la gruccia per ficcare i magliuoli nel divelto, e la pala per lo sterro sono del proprietario che adopera il bracciante.
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Bastassero
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