I marroneti sono vicini al domestico, e nel mese di ottobre ella rassetta le castagne; poi, se il marito glielo permette, emigra nei paesi maremmani, e loca l'opera sua a rassettare l'olive. Affannandosi in questo modo ell'aiuta il marito, ed i due poveretti vivono; e per vedere come vivono bisogna vedere come mangino. Memore del proverbio: A stati chiudi spini, ca u viernu si riventanu ngilli, ella seccò al sole forza di zucche, di peperoni, e di bucce di poponi; raccolse l'olive appena vaiate e giú battute dal vento, i pomodori acerbi, i petronciani, i funghi e li salò nelle sue terzuole; e questi e le patate, e gli agli e le cipolle, e le uova della gallina sono tutti i loro cibi: cibi che sono spine, e non diventarono anguille. Quando sono ricchissimi mangiano pane di segala, di frumentone, o inferrigno: finito il grano, mangiano il castagnaccio, o pane di orzo, o d'una mistura di veccia, lupini e fave. Vino non mai, se non quando l'hanno in dono; carne non mai, se non quando uccidono il porco, o per qualche lavoro estraordinario sentonsi sonare in tasca una lira di piú. Allora i poveretti dicono: Chi vò gabbari u chianchieri, - Cumprassi capu, trippa e piedi, e, per frodare il beccaio comprano una busecchia col sangue, e spanciano e lupeggiano per un giorno. Perché noi sorrisi dalla fortuna provassimo pietà per questa povera gente, ci bisogna vedere i nostri braccianti nell'ora del beruzzo. Per rinfrancare le forze si cavano di tasca un cantuccio dell'orribile pane, onde dicemmo pocanzi, e lo mangiano o scusso o accompagnato da un peperone, o da un capo d'aglio!
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