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      Quando questo avverrà, e l'uomo dedicandosi alla sola nobilissima fatica dell'intelletto lascerà alla natura l'incarico di trasformare se stessa per essere produttiva, allora e solo allora ei potrà dire: - Ho ripreso il mio scettro, e sono re del creato.
      L'agricoltura tra noi procede languidamente senza il sussidio delle machine, ed è mestieri che le abbia. Con l'introdurle non si rende inutile, come potrebbe parere a prima giunta, la classe dei braccianti; ma se ne fa continuo e meglio pagato il lavoro. Non è continuo ora, perché l'agricoltura non è in fiore, non si paga bene ora, perché l'agricoltura poco rende. Vi vogliono molti animali, molti uomini, emolto tempo per far fruttuoso un terreno; e ciò che si spende per la coltura è necessario che si frodi ai mezzi produttivi. Ci mancano forse terre? Vaste distese invocano il culto di Cerere, e non l'hanno; perché qui riescono difficili, colà costosi, altrove assai lunghi i lavori; e, stante la deficienza degli stromenti, e le male ed inveterate abitudini dei nostri coltivatori, il terreno non si scassa profondamente, le mal'erbe e le radici non si sbarbano dai luoghi infeltriti e sterpigni, l'aria, che le nutre, e la luce, che le confetta, non gioca liberamente tra le zolle sollevate: queste non si dirompono bene, il piú della semente soffocato dal loro peso non mette; e tali ed altre cagioni fanno che dei terreni, molti si abbandonino come lavoratíi, e quindi diventino lame e motacci, ed i pochi che si lavorano gittano cosí scarso, che il proprietario è costretto il meglio che può a scemare il salario del bracciante.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





Cerere