Quanta la verità e fantasia insieme! Il pastore, nuovo ch'egli è al letto vi si affonda e vi si voltola come somaro in un renacchio; scambia lo sproviero con la cinta della sua capanna, il guanciale con la sua panettiera di bassetta, le poppe della moglie con le tette della pecora! Ma i nostri pastori non tutti tolgono donna: il piú è consigliato dalla miseria a rimanersi celibe; e se il celibato dell'alte classi è la cangrena della società nostra in Calabria, quello dell'infime n'è la peste. La seguente canzone popolare esprime intorno al matrimonio il modo di pensare del nostro pastore:
Tiegnu lu cori nmienzu a dua pensera,
Nun aju chi chiú prima cuntentari:
Uno mi dici: - Pigliati mugliera,
L'atru rispunni: - Nun te la pigliari.
Ncapu tri juorni ti mustra lu pedi:
Accattami li scarpi e lu sinaliPe la paura mi piglia la frevi... (la febbre)
Chi diavulu l'ha tanti dinari?
Nel suo cuore dunque il sí tenzona col no. Un pensiero gli dice: - prendi moglie; un altro gli risponde: - Non prenderla -; perché dopo tre giorni ella ti mostrerà il piede (e questo atto ritrae a capello l'indole delle nostre donne) e dirà comprami le scarpe, comprami lo zinnale; e questo pensiero (conchiude il pastore) mi mette i brividi addosso. Il vaccaro, il bovaro vanno piú in là: le corna delle loro bestie sono una muta ed eloquente lezione per loro, ed essi cantano:
Giuvani, chi ti nzuri (ti ammogli) e nente sai,
Cuntenta priestu li capricci tua..
Nzúrati; ca lu meli proverai,
Pua si riventa tuossicu de vua.
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Calabria
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