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      Il proverbio che dice: Per la casa e per la vigna si marita la signa (scimia) ritrae a capello questa condizione di cose. L'ultimo del nostro popolo ha una casupola ed una fetta di terreno avvitito; l'una è una topaia, l'altra è sí meschina che, come diciam noi, un asino a voltolarvisi ne uscirebbe fuori con la coda e con le orecchie; ma è sempre un conforto pel nostro contadino il potere dare una dote alle figlie, che si maritano, dieci ceppi di vite. Le vigne non son divise da mura, ma da siepi di rogo, di ranno, di sambuco e di ginestra; spesso da un viottolo, e solo dal lato che toccano la strada maestra si cingono con muriccioli, non cosí alti però che il passaggiero non possa scavalcarli, e spingere oltre la mano e spiccarsi un grappolo. Le viti sono, come il piú delle donne calabresi, condannate al celibato, e non si maritano a pioppi, ad olmi, a cirieggi; ma si allevano nane, alte poco piú di tre palmi, legate con ritorte di ginestra e tútori di castagno, e a breve distanza tra loro. Solo quando la vigna è grande ed ha un bel palmento, le si fa un viale per lo mezzo, sul quale si ingraticolano pali a foggia di palco per ricevere le viti, che vi s'inerpicano. Ma questa sorta viti pergolane si educa meno per averne mosto, il quale, scorta la esperienza, riesce sempre di poco polso, che per ottenerne uve serbevoli e mangerecce di inverno.
      Il pane al vino è malo vicino, dice un nostro proverbio, e però le vigne non si coltivano mai a grano, se non quando siano da guari tempo trasandate; e solo nel caso che il terreno sia fondato o panconoso, vi si piantano fave e piselli, e spesso lupini non per averne frutto, ma per farne sorvescio.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319