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      Tre donne, onde a ciascuna si danno 42 centesimi, bastano in un giorno per sette are di terreno. Gli uomini fanno la sfioratura; ma le donne affasciano i fiori (bannere), dei quali parecchi si lasciano qua e là interi, non solo per bellezza che ne venga all'orto, ma perché i nostri ortolani credono che di quelle graziose e tremolanti bandiere, che susurrano, le pannocchie innamorino, e si riempiano meglio. Le pannocchie (spiche) si sfogliano a veglia; e nelle belle serate tu vedi le nostre ardite contadine assettate sull'aia, che a forza di ugne e di mani vi lavorano sopra; e quelle pannocchine che trovano ancora in latte, oppure imbozzacchite, lessano in un paiuolo, e le mangiano.
      Le sfoglie (foderi o sbriglie) si serbano a foraggio, o per riempire i sacconi; i túboli (nuòzzoli) scusano la legna d'ardere, e gli stocchi o monconi restano ad infradiciare sul campo per ingrassarlo. Il granturco si sgrana a batterlo con bastoni, poi si soleggia, e chi è colono lo divide (ed in che modo il dicemmo) col padrone, e chi colono non è, se lo trasporta a casa; ma sí all'uno e sí all'altro è meno assai del poco ciò che rimane dopo pagati i debiti.
      La seconda classe degli ortolani è di coloro che intendono alla coltivazione dei cocomerai, numerosi nel Vallo, e nelle pianure maremmane, soprattutto del Jonio, dove i terreni sono piú estesi e l'acque piú copiose. L'ortolano prende il cocomeraio a mezzadria, o a fitto. Nel primo caso, le spese per rompere il terreno, e alletamarlo sono a carico del padrone; a tutto altro provvede l'ortolano.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





Vallo Jonio