La popolana vi porta la sua sacca dí olive, una somella di legna, l'acqua per la caldaia, e la minestra di fave, o fagiuoli, e pane, formaggio, e salame per spesare i fattoiani. Si versano le olive nella pila, e il lavoro incomincia. Ad ogni giro della macine l'attizzatore con una pala gliene rammassa di sotto. La macine non è solcata, e polpe e nocciuoli s'infrangono insieme con grande nocumento alla bontà dell'olio. Quando la pasta è fatta, la si caccia a mano dentro le bruscole o gabbie (fischiuli), le quali son tessute di giunco. Poi le gabbie cosí piene s'incastellano sullo strettoio, vi si pongono sopra troccoli circolari di legno, e quando l'acqua leva le bolle ed i sonagli il saccardo ve la versa, l'oliandolo gira la manovella del torchio, e l'olio fila giú in un tino sottoposto, collocato in fondo ad un pozzo. E prima stringono le olive, poi la sanza (rifatto), poi il sanzino, e ad ogni volta le bruscole si rigovernano con acqua bollente. Olio vergine, olio spremuto a freddo non si fabbrica che nei luoghi, i quali vicinano il mare, e neppure dalle olive, ma dalle bacche degli oleastri, onde spesso colà ti abbatti a vedere intere boscaglie. È sommamente prelibato, ma i proprietari non lo mettono in commercio, ma lo serbano a loro delizia. Quando finito si è di stringere il torchio, l'oliandolo si sbraccia, cala giú nel pozzo con una mezzina di creta e cappia l'olio dalla tina. Ciò si dice crescere, che per un'antifrase, che ricorda il mactare dei latini significa finire; e mentre si cresce serbasi profondo silenzio, l'uscio di via si rabatte, si toglie l'ingresso al frate che vi viene per la questua, e si crede che l'occhio fascinatore di lui, e il far rumore impediscano l'entrata all'invisibile San Martino, la cui invisibile presenza nel trappeto si stima necessaria ad aumentare il prodotto delle olive.
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San Martino
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