Alzò quel legno sopra un concaro, colpevole non sappiamo di che; il concaro non fe' motto, non si mosse: sorrise mostrando due filze di denti bianchi ed acuti come quelli della tigre. Il fattore abbassò il bastone, e buttò nel fuoco una lira, che si liquefece. Noi eravamo a sedere al focolare in mezzo ad altri concari che si riposavano, ingannando un po' di sonno, col capo ravvolto nel mantello per non essere offesi dal fumo, e stesi lunghi lunghi coi piedi nudi al fuoco; modo di dormire prediletto dai nostri villani calabresi, che dicono: Si vive cento anni a dormire col capo sulla neve e coi piedi alla fiamma.
Un solo era seduto al nostro fianco, che al vedere quella lira liquefarsi prese a fare il tentennino con le ginocchia. "Amico! - gli dicemmo, - che vuol dire quella lira,".Vuol dire che qui siamo trattati peggio che cani; vuol dire che qui un legno di piú che si metta nella fornace, un'oncia di brodo che vada giú a terra nel riversarlo nei mastelli, un minuto di tempo che un povero cristiano si alleni, si pagano con legnate e con multe. Il fattore gitta una e due lire nel fuoco, e nel suo registro le accende in debito al colpevole". "La è una infamia; ma poi siete pagati bene: sette docati al mese e cinque rotoli di olio, potete dirvi contenti". "Bah! A conto di quei sette docati il padrone ci dà grano e fave; e il grano è vigliatura pretta, è spazzatura di aia. Poi, i molini sono del padrone: il fattore ci scrive un biglietto al mugnaio; questi ci fa la macinata, e sopra 50 rotoli di farina ce ne froda sei.
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Vuol
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