24 agosto 1864.
XII. - LE IMPASTATRICI
Venimmo in desiderio di vedere le impastatrici, ed entrammo in altra stanza a terreno. Le donne erano venti, tutte in fila con avanti un tavolello di noce, e ciascuna con un utello alla sua destra. Il capoconcaro scodellò nel mezzo del tagliere un pastone tuttavia bollente; le meschinelle si versarono sulle mani un filo di olio dall'utello, e con l'estreme dita spiccàrono della pasta scottante, facendo siffatti versi col volto che ci mossero il riso. Nessuna canzona, nessun motto arguto allegrava il lavoro; il fattore andava sossopra per ogni nonnulla, e punto che l'opera gli paresse abborracciata, e punto che una donna si disistancasse, egli era sempre lí a frugarle le spalle col suo maledetto legno. Quando la pasta fu mediocremente ammazzerata, le donne raddoppiarono il maneggio: i lombi, i polsi travagliarono con piú lentezza, ma con forza maggiore; il dorso delle mani si fe' turgido e livido, il sudore gocciò dalla fronte. Per ridurre allora la pasta piúobbediente ed arrendevole vi sputarono sopra, si sputarono sulle mani, il che facendoci stomaco bastò a toglierci da quel luogo. Traversammo un'altra stanza dove il falegname incassava i bastoncelli, incartocciandoli in frondi di lauro, e montando per una scaletta fummo nelle stanze a torre, dove, scèvere dagli uomini, sogliono dormire le donne. Vi trovammo inferma sopra un povero saccone una giovinetta da Longobucco. "Oh! le chiedemmo, siete dunque ammalata, buona donna?". "Ma nei conci si può star bene?
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Longobucco
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