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      A due e tre miglia dal mare, quando i pesci salgono nell'acque dolci, si adoprano in molti luoghi il cannaio e le gabbie; l'uso delle rezze è assai poco, comune quello delle lenze. La trota, che, come dicono in Calabria, deve, perché abbia buon sapore, mangiarsi con tre effe, cioè fresca, fritta e franca, è oltremodo ricercata. Si pesca di giorno con la lenza, e con la fiocina, onde i pescatori le danno sopra come la veggano a guizzare: di sera poi armano; e dicesi che armino quando adoprano il filaccione, uno dei due capi si raccomanda al terreno, e l'altro lungo a modo di lenza con amo aescato da un lombrico o da un lumacone si lascia tutta notte a nuotare nell'acqua.
      Dopo armato, i pescatori vanno a dormire, pascendosi della speranza di trovare buona presa al mattino; ma nelle serene nottolate non dormono, ma col frugnuolo in una mano, e la pettinella nell'altra siedono sulla sponda, dando sopra alla trota che stupida coi suoi grandi occhi si ferma a contemplare il lume, che l'abbaglia. Ai mesi estivi, massime nei luoghi alpini, il cielo sereno si volta tutto ad un tratto a nembo (trupia). I nembi sono spesso di gragnuola secca, piú spesso di acqua dirotta; pigliano poco paese, vengono per lo piú al pomeriggio, e tengono, un'ora, o meno. Ma il danno che cagionano ai colti, ed alle vigne è grande; e mentre ne gemono i proprietarii, la povera gente ed i pescatori ne godono. L'una corre ai fiumi a raccogliere le legna fluitate, e gli altri a pescare, poiché come il nembo dà giú, il fiume non tarda a coricarsi nel suo letto, ma l'acque dilagate non trovando sfogo rimpozzano, ed appunto in quelle pozze si pescano a mano, e senza aiuto di lenze, anguille, trote, e ranocchi.


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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