Le pescate ottenute in questi modi son sempre meschine, e quando si vuole una pescata davvero buona, le acque s'intassano. E il nostro intassare suona avvelenare, e le acque sí avvelenano a versarvi dentro grandi sacca di calce vergine. Le onde allora si intorbidano, fumano, bollono; le trote s'inebriano, si dibattono, vengono a galla imbalordite, e mentre mostrano il ventre bianco, ed i fianchi stellati, i pescatori che vanno giú e su per le rive con pertiche armate in punta da panieri, abbassano le pertiche, e le cappano. Ranocchi e reali si vendono a reste, tre soldi l'una; son cibo prezioso per i convalescenti, massime le reali pel loro sangue amarognolo. Le anguille e le trote non si portano a mercato, che raramente; perché per lo piú si pescano per commissione. Le bizoche, i clienti, i debitori, ne fanno inchiesta per stimare il confessore, il medico, l'avvocato, il galantuomo; ed è notabile che stimare in Calabria è sinonimo di regalare, perché presso noi si crede che la stima in che altri si tiene non gli si possa addimostrare altrimenti che con donativi. Ma quando si vendono, le trote e le anguille fanno una lira ed 84 centesimi il chilogramma.
Finalmente altro capo di guadagno pei nostri pescatori è la pesca delle mignatte: ne sono pieni gl'ischieti del Crati, ma dacché Napoli prese a mandarci le sue a mitissimi prezzi, quest'industria è mancata tra noi, benché le nostre mignatte, risentendosi del genio calabrese, fossero piú grosse, piú fiere, piú ardite, si attaccassero presto, e tardi si spiccassero.
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