Il linguaggio è il segretario di tutte le miserie del popolo; e le predette parole mostrano che in Calabria contadini e pescatori vivono del pari a furia di debiti, e muoiono senza averli pagati. Nella pesca della manàida il proprietario tocca la metà del pesce pescato; della palamitara, a cui fornisce la esca, anche la metà; ma dello sciabichello un terzo, e della tartana due quote. Ciò che avanza si divide egualmente tra la ciurma; senonché il nocchiero, che attende al timone (palella), governa la manovra, e conosce ed indica le tese, ha un quarto piú degli altri. E ciò nel Tirreno: nel Ionio han condizioni migliori. Il proprietario tocca il terzo dei profitti, ed una mancia di pesce nei mercoledí e venerdí, ma gli corre l'obbligo di fare alla ciurma ogni ragionevole avanzo in denaro e derrate, salvo a rifarsene alla fine dell'anno; il che mostra, come dicemmo, che nel Jonio i marinari sono pochi. Ma si nell'uno e si nell'altro mare la loro vita è miserabile, meno però nel secondo. Da aprile a tutto giugno si va bene nel Tirreno la pesca dell'acciughe, e delle sarde, nel Jonio di queste e degli scormi è abbondante; i marinari guardano il rozzo, guardano, vale a dire, quel bagliore che diffondendosi pel mare accompagna ed annunzia il passaggio delle sarde, e ne pescano a iosa; e si vendono sul luogo da quattro a dieci soldi il chilogramma. S'insalano senza scaparle; perché il capo d'una alice e d'una sarda salata si chiama da noi sucarola, e il Calabrese dice che a succiarsela si mangia quattro pani.
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