Queste navi per nostra vergogna sono poche. Attesa la nessuna importanza che finora hanno avuto per noi le coste dalmate e greche, attesa la ricchezza agricola e pastorizia del versante orientale, e l'ozio beato in cui vivono i ricchissimi signori di quei luoghi, nel Jonio non esiste nessuno nostro bastimento. Le importazioni e l'esportazioni vi si fanno non con barchereccio paesano, ma con legni di Taranto, di Sorrento, e dei paesi nostri posti sul Tirreno. Marine di ponente pane niente, e gli scarsi redditi territoriali da una parte, e la vicinanza di Sicilia, Napoli e sue coste dall'altra han creato nel nostro occidente il commercio e la navigazione, poca cosa all'avvenante di quanto potrebbero essere, ma molta, chi guardi le nostre condizioni sociali al presente, e politiche al passato; e tu vi trovi ora da dodici a quindici legni di cabotaggio, tra marcignane (martingale), tartane e trabacchi. Sono su per giú della portata di sei a cinquantasei tonnellate, vale a dire che il loro carico è di diciotto a centosessantottomila libbre. Di questi i legni piú grossi si fabbricano in Castellamare di Stabia, e montano un ottomila e cinquecento lire ciascuno, e colà si riconducono per raddobbarsi, o in Messina, o nel Pizzo, paese della media Calabria, non avendo noi, a dir vero, né cantieri, né squeri coperti, né sapendo i nostri squeraroli condurvi attorno altro lavoro che quello di calafatarli quando spuntano le stoppe, ed impeciarne, ed insegarne i commenti. Ma i piú piccoli escono dall'ascia, e si racconciano per opera dei nostri, ai quali una giornata di lavoro si paga due lire e 54 centesimi.
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