Essi legni son tutti montati da ciurma e da padrone calabrese; la ciurma è di nove uomini, e son brava e ardita gente di esperti marini che, sebbene esercitino il cabotaggio movendo da capo a capo lungo i paesi costieri, non è però che non sappiano o non osino navigare a golfo lanciato, poiché non solo vanno difilati a Palermo, ma dopo i luttuosi casi del 1848 piú d'un reo politico fu da loro salvato e condotto nell'isole Jonie, e nella Grecia. Caricano a caccia la balla, colleggiando le merci dai paeselli limitrofi, ed esigendo sottosopra il nolo di una lira e 70 centesimi da ogni quintale: esportano fichi, vini, biade, olio, bozzoli, e formaggi, fanno scala nei paesi littorali di entrambi i nostri mari, velano per Sicilia, ne caricano i vini per sbarcarli in Napoli, e di ritorno importano da Salerno ferro, acciaio, canape, lino, granturco, e generi coloniali. Finita la traversata, si levano i conti, e, sbattute dai profitti le avarie e le spese di stallia e di razione, di ciò che avanza netto si danno due metà: l'una si dà al proprietario o parzionarii del legno, e l'altra si divide cosí: al Capitano una parte e mezzo, allo scrivano una parte ed un quarto, ed ai marinari ed al mozzo una parte per ciascuno. Ma un nostro proverbio dice: A varca è de chi a cavarca (cavalca), e il noleggio del carico morto profitta interamente ai marinari.
Marinari e sciabacari hanno medesimezza di abitudini e di vesti: sono vigorosi, spericolati, e grandi mangiatori. Gli angoli degli occhi han coverti di rughe; parlandoti, levano la punta del naso in aria, ed arricciano le nari e il labbro superiore.
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