Di qui mille malagevolezze al commercio, il trasporto delle derrate affidato agli asini, ai muli, alle spalle degli uomini, al capo delle donne, e di verno un villaggio fatto straniero al piú vicino. E della cattiva posta dei comuni peggior male ne tocca all'agricoltura: i braccianti, ed i contadini amano la sera ritirarsi nella terra a far compagnia alle mogli, e però i terreni vicini, in piano ed in pendio si mettono a coltura, quelli in monte, perché invii e lontani, si trascurano. Nelle campagne basse gli agricoltori per ricondursi la sera al villaggio hanno da fare lunghe montate, e ferendo dopo ogni passo in diversa complessione d'aria muoiono all'està di terzane, di punte all'inverno; e la popolazione o rimane invariabile, o decresce ad ogni anno, e le campagne si lasciano ai grilli ed alle scope. I piú infelici sono i villaggi albanesi, ed i silani: in questi piú che altrove non trovi nulla che faccia bella la vita, non beccheria, non botteghe, non piazza, tranne una stamberga, dove si vende sale e tabacco. Basti il dire che non trovi un capo di refe, un ago, un fiammifero, se non te ne accomoda la vicina. Le poche famiglie agiate si provvedono il loro bisogno nel capo-circondario, o in altre terre grosse dove mandano nei di festivi il servitore, e se tu non hai in casa, hai da picchiare l'uscio altrui. Privi che sono di terreni comunali gli abitanti emigrano d'inverno, e di quella stagione ogni villaggio è piazza franca; v'incontri qualche prete, qualche galantuomo, qualche vecchia che fila al sole, e capannelli di ragazzi che fanno alle bucoline.
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